di Francesca Tarò – www.globalproject.info
Martedì 21 giugno è stato presentato a Sherwood Festival ‘Le rivoluzioni di Berta’ libro di Claudia Korol, educatrice popolare e comunicatrice femminista, tradotto quest’anno dalla casa editrice Capovolte. Il libro si concentra sull’attivismo politico e sociale di Berta Cáceres ambientalista e attivista honduregna, uccisa proprio per il suo attivismo nella notte fra il 2 e il 3 marzo 2016. Attraverso le sue stesse parole, tratte da diversi discorsi, Claudia Korol ci presenta questa donna nella sua complessità, toccando il tema più ampio della giustizia sociale delle popolazioni indigene e colonizzate. Anna De Favari ha intervistato Claudia Korol nell’intento di rimarcare l’importanza dell’attivismo di Berta Cáceres per poi ampliare il discorso sull’attuale situazione politica in America Latina.
Come prima cosa vorrei chiederti cosa ti ha spinto a recuperare tutte queste parole, a scrivere questo libro e soprattutto quali pensi possano essere altri strumenti per diffondere l’esperienza di Berta Cáceres e della resistenza honduregna, praticamente inesistente a livello mediatico?
L’ultima volta che ho visto Berta era in Colombia, paese che amava anche per la lotta portata avanti dal suo popolo. Molto spesso infatti, quando le amiche, preoccupate per la sua incolumità, la esortavano ad andarsene dall’Honduras, lei rispondeva che si sarebbe trasferita in Colombia. Sicuramente Berta starebbe festeggiando la vittoria di Petro in Colombia, in quanto risultato non solo dell’accesso al governo ma anche delle lotte popolari. Ad oggi si sta aprendo una nuova epoca di sfide, ed è proprio in queste sfide che si manifestano tutte le persone cadute ed è per loro che siamo qui.
Perché scrivere questo libro? Ho conosciuto Berta a Cuba, durante la rivoluzione; discutevamo delle rivoluzioni, del loro significato e del potere popolare. Al tempo Manuel Zelaya era al governo in Honduras, governo di cui Berta era molto critica, ma capace allo stesso tempo di riconoscere e supportare le misure concrete che avrebbero potuto funzionare. Berta ha sempre avuto un pensiero molto complesso, che prediligeva le sfumature al bianco e nero, capace di analizzare le contraddizioni del processo. Era in grado di dialogare ma anche criticare il presidente, cosa che la portò ad occupare la casa presidenziale.
Ho rivisto Berta il 18 giugno 2009, giorno del colpo di Stato in Honduras, primo del 21esimo secolo in America Latina. In quel momento era una figura dirigente del fronte nazionale e figura rilevante nella lotta quotidiana. Era parte di un gruppo femminista Abya Yala, nome con il quale questo gruppo si riferiva al continente sostituendolo al termine America Latina che richiama la colonizzazione e l’oppressione subita. Abya Yala significa infatti sangue che scorre. In seguito al colpo di stato una delegazione di Abya Yala si è recata in Honduras per supportare il popolo Lenca. Proprio in questa occasione di rifondazione dell’Honduras mi colpirono molto le idee di Berta, la quale suggerì la necessità di unità di tutte le organizzazioni in lotta. Ed è proprio dalla convinzione che questo pensiero di una donna indigena, popolare, femminista che lotta contemporaneamente contro il colonialismo, il patriarcato, il capitalismo e l’imperialismo debba essere conosciuto, che nasce questo testo. Testo che si propone di far arrivare questo pensiero non solo nei territori di lotta dell’America Latina, ma anche in altri luoghi, come l’Europa.
Proprio negli ultimi momenti insieme, stava nascendo la lotta in difesa del fiume Gualcache, fiume su cui si basava la vita della comunità Lenca. Gli attivisti si opposero così alle aziende coinvolte, fra cui la Desa. È proprio la lotta a quest’ultima che portò Berta ad essere incarcerata, minacciata insieme alla sua famiglia e poi assassinata.
Ci tengo a sottolineare che, oltre alla lotta ambientalista e a favore delle popolazioni indigene per cui viene solitamente ricordata, Berta lottava anche per la liberazione del corpo femminile e aveva particolare riguardo per la diffusione di pensiero e la creazione di conoscenza. Era infatti sempre molto preoccupata che le radio comunitarie venissero zittite. In linea con ciò, la prima parte del libro riporta i dialoghi con Berta, a cui lei stessa ha messo mano affinché il suo pensiero venisse trasmesso così come lo aveva pensato. La morte di Berta ha ovviamente portato confusione e sconforto ed ho dovuto continuare senza di lei. In questi momenti mi hanno aiutata le sue figlie, la seconda parte infatti si sviluppa come dialogo fra di loro. In particolare si concentra su come si sta sviluppando la lotta per ottenere giustizia per Berta Cáceres. Proprio ieri è stato comunicato che uno dei mandanti del suo assassinio è stato condannato a 22 anni di carcere. La terza parte è invece composta da tutte le sue amiche e compagne. Berta aveva una grande considerazione e coltivava l’amicizia politica.
Riprendendo le parole di Berta: è impossibile battersi contro le ingiustizie in questo pianeta, se noi stesse e noi stessi non ci proponiamo di smontare il sistema di morte che si chiama patriarcato. Nella resistenza che nasce dalla terra sfocia la molteplicità delle lotte che mirano ad abbattere un nemico comune, il capitalismo e il sistema neocoloniale che portano allo sfruttamento dei corpi e dei territori. Dalla lotta femminista e dalla difesa dei territori non si discosta quella per la giustizia socio-economica. Anche noi, qui, nei percorsi quotidiani e in quelli più internazionali, riteniamo centrale il tema dell’intersezionalità, dell’intreccio dei discorsi che ci portano a lottare dal basso su diverse tematiche. E riconosciamo anche la difficoltà di costruire un discorso organico che sia comprensibile ai più, che comprenda anche le lotte internazionaliste.
In questo tentativo di costruzione di una rete globale, che possa creare un’enorme comunità unita contro il nemico capitalista, quale potrebbe essere secondo te la forma più adatta di attivismo e solidarietà che potrebbe portare i movimenti ecologisti occidentali a collegarsi direttamente con le rivendicazioni e le lotte delle comunità indigene?
Quando ho conosciuto Berta non si presentava come femminista, ma aveva pratiche femministe. Ricordo che nel marzo del 2010, durante le riunioni per la rifondazione dell’Honduras in cui si discuteva la costruzione di una scuola, la prima cosa che fece fu creare striscioni in cui si leggeva territorio libero dalla violenza maschilista. Nello stesso periodo si discuteva molto sul prendersi cura dei territori e dei corpi delle donne e di lottare contro il sistema colonialista, razzista e capitalista. Come era quindi il femminismo di Berta? Berta ha effettivamente iniziato a definirsi femminista dopo aver combattuto in prima linea nel colpo di Stato del 2009. Sosteneva che il femminismo indigeno e popolare non potesse restare al margine dell’agenda politica, essendo la lotta ambientalista parte del femminismo. Considerava infatti tutte le lotte come proprie del movimento femminista. Due iniziative sono significative di ciò. Per affrontare la violenza di genere, fu fondato un tribunale popolare di donne cosicché queste potessero denunciare se vittime di violenza. Questo tribunale non emetteva sentenze legali, ma tutti questi processi venivano trasmessi attraverso le radio del COPINH, permettendone così la diffusione popolare. L’altra iniziativa è stata una casa de sanacion [casa di guarigione] per donne all’interno della quale si creavano attività di cura e guarigione per le vittime di violenza.
Come fare quindi in Occidente? Come interagire con chi è quotidianamente vittima di violenze sistematiche causate dalla cultura occidentale? La considerazione centrale è capire che si tratta proprio della difesa vita, poiché la lotta può talvolta costare anche la vita. Si parla di Macarena Valdes e molte altre compagne che hanno sono morte a causa della lotta in diversi paesi, dall’Argentina alla Colombia, passando per il Brasile. È perciò importante la solidarietà internazionale, al fine di sviluppare una diplomazia dei popoli, in modo che lo stato ed il governo diano importanza e riconoscano questi crimini. La morte di Berta fa parte di un genocidio nel quale le donne sono un bersaglio molto facile.
È molto importante anche la solidarietà interna. Noi tutte femministe ci rallegriamo quando si comunica fra spazi, quando c’è condivisione e supporto, quando si ha la consapevolezza che esiste un luogo al mondo in cui veniamo ascoltate. Prima ho nominato alcune donne, ma sono poche rispetto a tutte coloro che non abbiamo il tempo di nominare e tutte coloro di cui non conosciamo il nome ma vivono quotidianamente la lotta per una vita senza violenza. Ritengo sia molto importante che si lavori per le bambine che già a dieci anni sono vittime di prostituzione e soffrono di violenza sessuale e per i bambini che sono arruolati dalle reti di sicari. Credo sia quindi importante creare reti libere per un’infanzia libera. A tal proposito, in Argentina si è discusso con Berta della lotta a fianco delle bambine, le quali soffrono come donne adulte a causa di questo sistema: non esiste un grande patriarcato e un piccolo patriarcato. È perciò molto importante creare spazi transgenerazionali.
Dalla più piccola comunità originaria che lotta contro la grande multinazionale, si apre lo scenario di un obiettivo comune contro i governi neoliberali, un obiettivo così forte soprattutto nel contesto latinoamericano. Per chiudere questo incontro vorrei confrontarmi con Claudia su ciò che sta accadendo negli ultimi giorni con l’elezione del nuovo presidente della Colombia Gustavo Petro e della vicepresidente Francia Marquez, attivista femminista e afroamericana. Per la prima volta nella sua vita repubblicana, la Colombia avrà un presidente di sinistra, concludendo un’era segnata dall’influenza della destra neoliberale. Questa vittoria arriva subito dopo la svolta progressista in Cile dello scorso anno, e precede il voto in Brasile di ottobre, dove Lula già si impone su Bolsonaro nei sondaggi.
Rispetto a questo progressivo scenario di svolta politica del continente, qual è secondo te il possibile margine di azione di queste sinistre istituzionali, più o meno radicali, che progressivamente in diversi stati dell’America Latina stanno promettendo una svolta antiliberale? Poni della fiducia nell’azione di questi governi? Potrebbero incentivare quella lotta dal basso fino ad ora criminalizzata e repressa o solo renderla strumentale al raggiungimento di un nuovo modello capitalista?
Non immaginiamoci che l’arrivo al governo di Petro porterà un cambiamento radicale a livello politico e farà tutto ciò che non è stato fatto prima. Certo avere Francia Marquez come vice presidente è significativo perché, come dice lei stessa, fa parte dei nessuno. Allo stesso tempo bisogna però ricordare che la salita di chiunque al governo non implica la costruzione di un nuovo potere.
Ciò in cui credo ed ho fede è la lotta dei popoli organizzati e la capacità di lotta. In Argentina, ad esempio, si è arrivati all’approvazione della legge sull’aborto, dopo dieci anni di lotta, sotto un governo di destra. Ciò testimonia proprio la forza e importanza della lotta femminista unita a quella popolare. In sostanza quindi non è così importate chi sale al potere, importante è l’insieme delle lotte popolari e la consapevolezza che non esista una lotta più valida dell’altra. Fondamentale è anche riconoscere il razzismo che risiede nelle sinistre. Certamente la salita al governo delle fazioni di sinistra ci fa respirare, ma bisogna ricordare che il giorno in cui Petro ha vinto le elezioni sono stati ammazzati due indigeni. Esiste ancora una struttura criminale, dei narcos, che va decostruita. Come? Con tutte le esperienze dal basso di potere popolare e di autodifesa delle donne, dei poveri; costruendo una capacità di lotta che parta da tutti noi, non dall’alto.
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