Forti sospetti di brogli, manifestazioni in ogni angolo del Paese, centinaia di fermati e 14 morti accertati. Dopo il voto di novembre l’Honduras non ha un presidente e resta in bilico tra un nuovo golpe e la guerra civile. Nel frattempo, nelle retrovie gli Usa hanno scalzato Ue e Organizzazione degli stati americani nei rapporti con le autorità
A partire dal prossimo 22 gennaio, milioni di italiani seguiranno con trepidazione ciò che accade in Honduras. Torneranno infatti nel Paese centro americano per affrontare terribili prove, i finti naufraghi dell’Isola dei famosi, il reality show che ormai da una decina d’anni viene registrato tra gli isolotti conosciuti come Cayos Cochinos. Per quella data, forse, sapremo anche chi, tra il presidente uscente Juan Orlando Hernandez e il candidato dell’opposizione Salvador Nasralla ha vinto le elezioni che si sono tenute il 26 novembre scorso.
Dopo quasi tre settimane, però, il nome del nuovo presidente della Repubblica non è ancora stato annunciato. E ancora l’11 dicembre scorso, il magistrato presidente del Tribunale supremo elettorale (Tse), David Matamoros Batson, ha ribadito di non poterlo dichiarare, almeno finché non saranno risolte tutte le «126 contestazioni presentate alla segreteria generale» del Tse in merito al processo elettorale.
Sospetti di brogli sulle elezioni in Honduras
Le contestazioni fanno riferimento ai presunti brogli che sarebbero seguiti alla chiusura delle urne e caratterizzato il conteggio dei voti, con un inspiegabile black out di alcune ore nella trasmissione dei risultati, dopo il quale Juan Orlando Hernandez aveva però recuperato e superato il numero di proferenze raccolte dal rivale.
Maggiore trasparenza e un riconteggio sono stati chiesti al Tribunale anche dalle due missioni di osservatori elettorali presenti nel Paese, quella dell’Organizzazione degli stati americani e quella dell’Unione europea. Del resto, i due candidati sarebbero divisi da appena 50 mila voti.
Human Rights Watch parla di «forti indizi di frode»
Come ricorda l’organizzazione non governativa Human Rights Watch in un comunicato diffuso l’11 dicembre, «il giorno dopo il voto, il Tse aveva annunciato che dopo che si era concluso lo spoglio di oltre la metà delle schede, il candidato dell’opposizione Salvador Nasralla aveva cumulato un vantaggio del 5 per cento».
Quello che è successo dopo, secondo l’ong, manifesta «forti indizi di frode», che «vanno accertati per rispettare la volontà degli elettori», come ha spiegato José Miguel Vivanco, responsabile dell’organizzazione per l’America Latina.
Si legge ancora nel comunicato:
«Diversi osservatori internazionali hanno informato di irregolarità nel processo elettorale, che hanno sollevato seri dubbi sulla legittimità delle elezioni», che hanno portato molti a scendere in piazza e le autorità a decretare per alcuni giorni lo Stato di emergenza.
Un secondo golpe, dopo quello del 2009
Per tornare all’ultimo “toque de queda”, che imponeva un coprifuoco e impediva di uscire per strada tra le 6 del pomeriggio e l’alba, bisogna fare un passo indietro di otto anni. Alla fine di giugno del 2009, quando il presidente Manuel “Mel” Zelaya venne rovesciato da un golpe militare perché si apprestava a chiedere ai cittadini honduregni, con una sorta di referendum, se appoggiassero o meno una riforma della Costituzione che avrebbe consentito un secondo mandato come presidente. Riforma poi realizzata, otto anni dopo, da Juan Orlando Hernandez, per garantire a se stesso il diritto di correre per il secondo mandato.
«La verità è che l’Honduras non è mai uscito dal colpo di Stato del 2009. Le istituzioni sono collassate: il governo di Juan Orlando Hernández ha occupato ogni spazio di potere, compresi il Parlamento e la Corte Suprema di Giustizia», ha detto a Osservatorio Diritti Sandra Marybel Sánchez, una giornalista di Radio Progreso.
L’emittente è diretta dal sacerdote gesuita Ismael Moreno e il 10 dicembre è stata oggetto di un grave atto di sabotaggio, che ha visto ignoti abbattere l’antenna da cui la radio, che ha sede nella città di Progreso, dipartimento di Yoro, trasmette dalla capitale Tegucigalpa.
Tutti in strada, dalla capitale Tegucigalpa alle periferie
Il 3 dicembre scorso, durante il giorno, c’è stata una grande e colorata manifestazione per le strade della capitale. Il giorno dopo, Karla Lara, cantautrice e attivista della Red Nacional de Defensoras de Derechos Humanos, raccontava che l’evento era stato «enorme e allegro».
Da tutto il Paese, anche dai dipartimenti più periferici, quelli che avrebbero votato in massa per il candidato presidente si susseguono “tomas”, occupazioni di strada. Il popolo honduregno non ci sta: «Il coprifuoco è parte di una strategia che è stata disegnata prima delle elezioni del 26 novembre, come modalità di risposta a una eventuale reazione del popolo di fronte alla frode elettorale. Era stabilito che le prime manifestazioni di protesta sarebbero state infiltrate da parte di persone che avrebbero procurato danni alle proprietà private e che a queste notizie sarebbe stata data ampia visibilità sui mezzi di comunicazione, così da poter giustificare l’introduzione di misure repressive . Questo è quanto è successo. E le tv hanno detto che la responsabilità di vetri rotti e saccheggi era della base dell’opposizione. Ciò ha giustificato, e reso accettabile, il coprifuoco, che servirebbe a proteggere le persone, perché in strada ci sarebbero delinquenti», commenta ancora Sandra Marybel Sánchez.
Difensori dei diritti umani a rischio secondo Amnesty
A correre i maggiori rischi, in questa complessa fase post elettorale, sarebbero soprattutto i difensori dei diritti umani. Come ha sottolineato anche un’azione urgente promossa il 12 dicembre da Amnesty International, che ha raccolto le denunce del Movimiento Amplio por la Dignidad y la Justicia, quella già ricordata di Radio Progreso, dell’associazione Lgbt Rainbow, e documentato il fermo di un gruppo di circa 30 attivisti del Copinh, impegnati in una manifestazione nella cittadina di Siguatepeque, da parte dei militari.
Tra loro c’era anche Berta Zuniga Cáceres, coordinatrice dell’organizzazione e figlia di Berta Càceres, la leader indigena uccisa nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 nella sua casa.
Comitato familiari desaparecidos parla di fermati e morti
A rischiare la vita, e a subire la repressione, non sono però solo quelli che godono di una maggiore visibilità. Il rapporto “La crisi politica post elettorale ed il suo impatto sui diritti umani” del Comitato dei familiari dei detenuti desaparecidos dell’Honduras (Cofadeh) ha censito 118 manifestazioni fino al 5 dicembre, 38 delle quali represse con la forza. 844 persone sarebbero state fermate (al 5 dicembre), mentre durante le mobilitazioni si è registrata già la morte di almeno 14 persone.
Tra queste, una studentessa di 19 anni, uccisa dalla Policía Militar del Orden Público, e un ragazzino di 15 anni, ammazzato dalla Policía Nacional Preventiva.
Sospetta ingerenza degli Usa nella crisi in Hounduras
Ciò che accadrà nelle prossime settimane sarà influenzato anche da un nuovo attore, il Governo degli Stati Uniti d’America, che ha letteralmente preso il posto dell’Organizzazione degli stati americani (Oea) e dell’Unione europea, partecipando, con la propria ambasciatrice, al riconteggio dei voti realizzato dal Tribunale supremo elettorale a seguito delle contestazioni.
«Il processo elettorale honduregno è subordinato agli interessi geopolitici Usa e non dipende dalle decisioni prese dal popolo sovrano nelle urne», ha scritto su Twitter Gustavo Irias, direttore esecutivo del Centro de Estudios para la Democracia (Cespad).
In un documento di analisi, diffuso il 10 dicembre, Irias sottolinea come «le missioni Oea e Ue fino al 7 dicembre avevano assunto non solo un ruolo di garanti della ricerca di un risultato trasparente, ma a partire dalla notte di giovedì 7 dicembre sono scomparse dallo scenario politico, occupato da quel momento da Heide Fulton, l’ambasciatrice Usa che ha assunto un ruolo quasi da governatrice in un Paese che il suo governo ha tradizionalmente considerato il proprio “patio trasero” (giardino dietro casa). Un’esposizione mediatica che non si vedeva dalla guerra di contro-insurrezione degli anni Ottanta in Centro America, quando i funzionari statunitensi erano coloro che prendevano le decisioni fondamentali anche in Honduras e non facevano niente per nasconderlo».
fonte: https://www.osservatoriodiritti.it/2017/12/15/honduras-elezioni-2017-rischio-golpe/