“Le Rivoluzioni di Berta” tra difesa del territorio e costruzione di nuovi mondi.
Ci hanno accusato non solo di traffico illegale di armi, di violenza, di lotta armata, ma anche di essere streghe. Sono stata accusata di essere una strega. È l’unica cosa che accetto. Un qualcosa delle streghe dobbiamo avere, per sopportare quello che stiamo vivendo e continuare a inventare nuove lotte. ‘Questo è vero’, ho detto. Ma il resto no. Viviamo un’enorme criminalizzazione, soprattutto perché siamo donne. Riceviamo minacce alla nostra vita, alla nostra integrità fisica, emotiva e sessuale, minacce alle nostre figlie, ai nostri figli, ai nostri parenti più stretti, ai nostri colleghi del COPINH, a coloro che ci accompagnano e ci circondano, donne o uomini, anche internazionalisti.
Così rispondeva Berta Cáceres, leader indigena del popolo lenca e premio Goldman nel 2015, quando le si chiedeva delle tante accuse, calunnie e insulti ricevuti per la sua lotta contro il sistema capitalista, patriarcale, razzista e coloniale che tuttora imperversa in Honduras. Così lo racconta Claudia Korol, comunicatrice femminista ed educatrice popolare argentina, nel suo libro “Le Rivoluzioni di Berta”, uno straordinario esercizio di “storiografia dal basso” che, nelle sue circa 250 pagine, passa in rassegna vent’anni di storia dell’America centrale descrivendo gli avvenimenti dal punto di vista di chi ha cercato di resistere all’assalto del nuovo capitalismo estrattivista. Partendo dall’elezione di “Mel” Zelaya e dalla speranza di una rifondazione per l’Honduras, immediatamente frustrata dal colpo di stato del 2009, il libro di Claudia Korol è un testo narrativo e storico insieme, che raccoglie le conversazioni con Berta, recuperando anche alcuni suoi interventi in radio comunitarie, video e discorsi pubblici, ma è anche un documento storico fondamentale che tocca temi scottanti, come i fallimenti dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), il ruolo di famiglie di oligarchi centramericani come i Facussé e del loro legame col narcotraffico e l’importazione in Honduras di paramilitari colombiani promossa da “progetti di sicurezza” made in USA, come il Plan Mérida. Le rivoluzioni di Berta, uscito nel 2018 in spagnolo, sarà disponibile in italiano da giugno 2022 per Edizioni Capovolte, e verrà presentato in diverse città italiane in presenza dell’autrice. Per la natura stessa del libro, gli incontri saranno l’occasione non solo per parlare di Berta Cáceres ma anche per discutere di femminismo, autonomia, autogestione, educazione popolare, resistenza e difesa del territorio. L’iniziativa è organizzata dal Collettivo Italia Centro America (www.puchica.org) e da Edizioni Capovolte (www.capovolte.it).
Berta Cáceres è nata a La Esperanza, nel dipartimento honduregno di Intibucá, e il 4 marzo del 2016 avrebbe compiuto 45 anni. Il suo omicidio, perpetrato nella notte tra il 2 e il 3 marzo di quell’anno da sicari inviati dalla dirigenza dell’impresa DESA (Società Anonima di Sviluppo Energetico), una multinazionale che per la resistenza di Berta e delle comunità indigene lenca ha perso un progetto idroelettrico da milioni di dollari[1], è stato l’ultimo atto di una persecuzione iniziata nella decade degli Ottanta, quando Berta si era unita alla resistenza salvadoregna con il Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN). Negli anni Novanta, poi, Berta aveva co-fondato il COPINH, Consiglio delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras, un’organizzazione dal basso che rivendica e difende i diritti del popolo lenca e dalla società civile honduregna in generale, e che è stato una spina nel fianco per i governi neoliberali e filostatunitensi che si sono succeduti in Honduras fino all’elezione di Manuel Zelaya e al successivo golpe del 2009, quando è diventato un nemico dichiarato della nuova narco-dirigenza del paese.
Il percorso politico di Berta Cáceres è delineato nel libro “Le Rivoluzioni di Berta” dall’inizio fino alle ultime battaglie in difesa del Rio Gualcarque, sacro per il popolo lenca. Attualmente, dopo 6 anni di battaglie anche ma non solo legali, il COPINH, è riuscito a far emergere con chiarezza che Berta è stata indubbiamente uccisa per la sua opposizione al progetto idroelettrico “Agua Zarca” ma anche, e forse soprattutto, per essere stata una donna insubordinata, che ha sfidato il potere maschile degli impresari e oligarchi honduregni, senza temere attentati, minacce e intimidazioni e che, nonostante la persecuzione, ha continuato a mettere il proprio corpo in prima linea, tra l’altro un corpo di donna indigena, già di per sé percepito come fastidioso nella società sessista, classista e razzista dell’Honduras.
Il riferimento alle streghe che Claudia Korol riporta nel libro “Le Rivoluzioni di Berta” non è casuale. Che la figura delle streghe sia tornata “di moda” è un dato di fatto, anche grazie all’ingegno capitalista che è riuscito a trasformare un genocidio in fenomeno pop[2]. Ma la tesi di Silvia Federici secondo cui la caccia alle streghe del quattrocento europeo è stata la prima persecuzione messa in atto da un allora neonato capitalismo contro le donne che si opponevano alla distruzione di un mondo ancestrale, fatto di beni comuni e conoscimenti culturali condivisi, è più che mai attuale[3].
Secondo la Federici, negli ultimi anni stiamo assistendo a un’“escalation di violenza contro le donne, perché la ‘globalizzazione’ è un processo di ricolonizzazione politica il cui scopo è fornire al Capitale un controllo incontestato sulle ricchezze naturali del mondo e sul lavoro umano, e quest’obiettivo non può essere ottenuto senza attaccare le donne, che sono direttamente responsabili della riproduzione delle loro comunità”. “Brutalizzare le donne”, continua la Federici, è “funzionale alle ‘nuove enclosures’. Apre la strada all’accaparramento delle terre, alle privatizzazioni e alle guerre”[4]. Una lettura che coincide con quella della sociologa maya quiché Gladys Tzul, che nella perizia presentata durante il processo a David Castillo[5] (uno dei co-autori del delitto), ha utilizzato il concetto di femminicidio territoriale per definire il crimine di Berta, portando all’attenzione anche internazionale questa categoria di femminicidi già tipizzata da Lorena Cabnal, un’altra attivista guatemalteca, femminista comunitaria del popolo maya xinka che da anni studia le forme di patriarcato preispanico e il loro sviluppo dopo l’incontro col patriarcato coloniale.
Secondo la Cabnal, il femminicidio territoriale è una delle maggiori espressioni di misoginia che lo stato patriarcale abbia scatenato contro le donne che difendono il territorio, finalizzato ad annullare l’esistenza delle donne indigene che proteggono i beni naturali, perché in quella difesa è implicita anche l’opposizione al sistema capitalista-estrattivista che considera natura ed esseri umani come mere risorse per l’accumulazione[6]. Non si tratta quindi solo di terra o di risorse, ma in gioco c’è l’intera concezione della vita, intesa come relazione tra gli esseri umani e tra questi e le creature della madre terra.
In un testo del 2016, intitolato “Femminismi popolari. Le streghe necessarie nei momenti di rabbia”, Claudia Korol ha scritto: “Noi femministe popolari presupponiamo che nel sistema capitalistico patriarcale e coloniale le diverse forme di dominio e disciplina di corpi, territori, comunità, di cui facciamo parte, si rafforzino a vicenda, e che ogni conquista in una prospettiva emancipativa erode i pilastri del sistema, nella misura in cui contribuisce alla creazione di soggettività individuali e sociali autonome, capaci di immaginare e creare un mondo diverso”[7]. Autonomia e costruzione di un altro mondo che Claudia Korol, per sua stessa ammissione, ha perseguito attraverso l’educazione popolare, dove l’autonomia è diventata per lei (e per il gruppo di lavoro di Pañuelos en Rebeldía) il fulcro di una “pedagogia femminista, decolonizzante e anticapitalista con prospettiva socialista[8]”, nonché la base di un’azione diretta che riunisce l’esempio delle Madri di Plaza de Mayo (guarda caso altre donne bollate come “streghe”), del Movimento senza terra del Brasile, del movimento piquetero e delle fabbriche occupate, tra gli altri.
Esiste un filo conduttore che unisce il femminismo indigeno e popolare alla difesa del territorio, alla pedagogia anticapitalista, alla resistenza e alla lotta al patriarcato, alla costruzione di nuovi mondi, ma è un filo rosso, letteralmente rosso, del sangue di chi in queste battaglie ci ha rimesso la vita. Dalla Federici alla Cabnal, dall’Argentina all’Honduras, dalle università alle fabbriche occupate e ai campi di mais: le analisi coincidono, le prove esistono, ma la lista di donne assassinate continua ad allungarsi e la rabbia continua a crescere.
Dire che queste donne sono state uccise “solo perché donne” è riduttivo, perché il loro scagliarsi contro il sistema capitalista era portatore di una virulenza e una radicalità che trascende il desiderio di dominio intrinseco alle relazioni patriarcali, ma piuttosto si collega direttamente a una potenza uterina che è quella della madre terra e che per questo non può che essere spaventosamente dirompente. Il dominio e il potere sono sempre stati e sono ancora un nodo centrale. Non a caso, in uno dei suoi dialoghi con Claudia, Berta si chiedeva: “Che cos’è il potere dal basso, dal popolo, dalla comunità? Come sviluppare un lavoro articolato che consolidi i processi emancipatori? Come costruire un potere che sia capace di sopportare la pressione dell’oligarchia, dell’imperialismo?”
Le domande di Berta sono rimaste sospese, ma a queste e ad altre si potrà cercare di trovare una risposta durante gli incontri del mese di giugno, quando la presenza di Claudia Korol in alcuni spazi autonomi italiani ci permetterà di instaurare un dialogo con l’autrice di questo libro unico, fatto “non per alimentare il mito di Berta, ma per recuperare alcune delle sue parole e per avvicinarci alle rivoluzioni anticapitaliste, antipatriarcali, anticoloniali, socialiste, alla Rifondazione dell’Honduras e di Abya Yala, che lei aveva sognato con noi”.
Valentina Valle, 22.04.2022
[1] L’assassinio di Berta, che come ogni femminicidio le autorità hanno inizialmente cercato di etichettare come crimine passionale, ha suscitato grande clamore mediatico perché i nomi implicati sono famosi: la DESA appartiene a un enorme consorzio guidato dalla famiglia Atala, tra le più potenti dell’Honduras, e tra i finanziatori del progetto idroelettrico “Agua Zarca” c’erano anche entità europee, come la banca olandese FMO e le ditte tedesche Voith Hydro e Siemens, poi ritiratesi dal progetto. L’inchiesta più completa sul caso è quella della giornalista Nina Lakhani, raccolta nel libro “Chi ha ucciso Berta Cáceres?”, tradotto e pubblicato in italiano per Edizioni Capovolte.
[2] Sulla moda della stregoneria cfr. Chollet, Mona, Brujas. La potencia indómita de las mujeres, Hekht, Buenos Aires, 2019, pp. 48-51 (trad. di Margarita Martinez dall’originale francese Sorcières. La puissance invaincue des femmes, Éditions La découverte, Paris, 2018) mentre sull’uso commerciale e turistico del fenomeno della caccia alle streghe cfr. Federici, Silvia, Caccia alle streghe, guerra alle donne, Nero, Roma, 2020, p. 13.
[3] Federici, Silvia, Caliban and the Witch: Women, the Body and Primitive Accumulation, Autonomedia, New York, 2004.
[4] Federici, Silvia, Caccia alle streghe, guerra alle donne, Nero, Roma, 2020, pp. 76-77.
[5] Gladys Tzul, Analisi della situazione e condizione della violenza che vivono le donne indigene e che difendono i Diritti Umani: il caso di Berta Cáceres e la difesa del Rio Gualcarque. Disponibile in: https://www.observacionbertacaceres.org/post/pericia.
[6] Una conversazione con Lorena Cabnal sul femminicidio territoriale è disponibile in spagnolo nella pagina del COPINH: www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=309772074109223
[7] Korol, Claudia, Feminismos populares. Las brujas necesarias en los tiempos de cólera, Nueva Sociedad No 265, septiembre-octubre de 2016. Disponibile in linea alla pagina www.nuso.org/autor/claudia-korol/
[8] Korol, Claudia, Smaldone, Mariana, Manzoni, Gisela e Soza Rossi, Paula, Entrevista a Claudia Korol de Pañuelos en Rebeldía: Trayectorias en educación popular, feminista, anticapitalista y descolonizadora, Descentrada, 3, (1), marzo-agosto 2019. Disponibile in linea alla pagina www.memoria.fahce.unlp.edu.ar/art_revistas/pr.9625/pr.9625.pdf