Un anno fa, nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016, la leader ambientalista Berta Cáceres è stata uccisa nella sua casa di La Esperanza, nel dipartimento di Intibucá, a ovest della capitale dell’Honduras, Tegucigalpa. Tre uomini hanno forzato la porta della casa e le hanno sparato. Gustavo Castro Soto, un attivista messicano che dirige l’ong Otros Mundos Chiapas Ac, è stato ferito ma è sopravvissuto all’attacco. È l’unico testimone oculare del delitto.
Cáceres era l’attivista honduregna più apprezzata e nota del mondo. Nel 2015 aveva vinto il premio Goldman per l’ambiente. Da anni era impegnata nella difesa dei diritti degli indigeni lenca e delle loro terre contro lo sfruttamento minerario ed energetico delle grandi aziende. Con l’associazione che guidava, il Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), si batteva per fermare la costruzione della diga di Agua Zarca, sul fiume Gualcarque, affidata all’impresa Desarrollos Energéticos (Desa). Proprio per questo, Cáceres aveva cominciato a ricevere minacce. Secondo lei arrivavano dalla Desa, dall’esercito e dalla polizia honduregna. Ma nonostante le sue denunce e la richiesta della Commissione interamericana per i diritti umani di adottare delle misure di sicurezza per proteggerla, è stata uccisa.
Contro lo sfruttamento
Il suo omicidio ha provocato la reazione della comunità internazionale e ha attirato l’attenzione sui pericoli e le difficoltà a cui vanno incontro gli attivisti che si oppongono quotidianamente agli interessi delle aziende e di alcuni governi. Secondo il rapporto presentato il 31 gennaio 2017 dall’ong Global Witness, l’Honduras è il paese più pericoloso del mondo per chi si batte per la difesa della terra. Dal 2009, anno del colpo di stato militare che depose il presidente Manuel Zelaya, almeno 123 attivisti per l’ambiente sono stati uccisi nel paese. Le vittime sono soprattutto persone contrarie alla costruzione di dighe e allo sfruttamento minerario o agricolo delle terre degli indigeni, portato avanti senza consultare le comunità coinvolte.
Dopo l’uccisione di Cáceres il governo dell’Honduras, guidato da Juan Orlando Herández, ha arrestato otto persone, tra cui l’ex capo della sicurezza della Desa, l’ingegnere dell’azienda e un militare in servizio al momento dell’omicidio. Ma non si è fatta chiarezza sui mandanti dell’omicidio. Oggi, a un anno di distanza, il Guardian pubblica un’inchiesta di Nina Lakhani che conferma le denunce del Copinh: i mandanti vanno cercati tra le persone più potenti del paese, nei servizi segreti e nell’esercito.
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