Mobilitazioni e proteste in tutto il paese
Managua, 30 agosto (di Giorgio Trucchi | LINyM) -. Il Guatemala si è incendiato di nuovo. Tra luglio e agosto, migliaia di persone sono scese in strada, hanno riempito viali e piazze, hanno bloccato strade e ponti, hanno paralizzato il traffico in centinaia di punti a livello nazionale.
Tre le parole d’ordine dei manifestanti: dimissioni del presidente Alejandro Giammattei e della procuratrice generale Consuelo Porras, colpevoli di avere orchestrato la destituzione del procuratore anticorruzione Juan Francisco Sandoval, fine della corruzione e dell’impunità, installazione di una assemblea costituente popolare e plurinazionale.
Intervistato dalla stampa estera, Sandoval ha spiegato che la sua posizione ha cominciato a vacillare dall’arrivo di Consuelo Porras come procuratrice generale. La sua “colpa”? Aver portato avanti indagini scottanti come titolare della Procura speciale contro l’impunità (Feci), in collaborazione con la disciolta Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala (Cicig).
Ha praticamente svelato che stavano iniziando indagini piuttosto delicate che coinvolgevano persone molto vicine all’entourage presidenziale, per reati di corruzione e per la presunta manipolazione nell’elezione di vari magistrati.
Così come nel novembre dello scorso anno il popolo guatemalteco fu protagonista di forti proteste contro i tagli alla spesa sociale, l’approvazione di investimenti che beneficiavano i “soliti noti” e l’incapacità dell’esecutivo di far fronte alla pandemia e all’impatto disastroso di due uragani, in questi mesi il Guatemala si è fermato nuovamente e ha detto ‘basta’ a un sistema e un modello corrotto e predatore.
“C’è stata una grande risposta da parte della gente, delle comunità organizzate e in resistenza, delle organizzazioni sociali e popolari che hanno deciso di manifestare in varie parti del paese”, afferma Leiria Vay García, membro della direzione politica del Comitato per lo sviluppo contadino (Codeca)
“Lo diciamo da tempo. In Guatemala non abbiamo diritti e lo Stato non risponde agli interessi della popolazione, bensí a quelli dei gruppi economici. Questa situazione non è più tollerabile – prosegue – e ha fatto sì che si producessero manifestazioni gigantesche. Ma qui non si tratta solo di indignarsi per un problema specifico, come il bilancio o la rimozione di un pm.
Come Codeca pensiamo che, da sole, le dimissioni di un presidente, un ministro, di un pubblico ministero non cambiano nulla. Lo abbiamo già visto nel 2015 con le dimissioni e l’incarcerazione di Otto Pérez (presidente) e Roxana Baldetti (vice presidente). Sei anni dopo siamo di nuovo in piazza a protestare e a indignarci per gli stessi problemi.
Crediamo quindi – spiega la dirigente indigena – che le dimissioni e la persecuzione dei corrotti debbano essere accompagnate da cambiamenti strutturali. Vogliamo uno Stato plurinazionale costruito dai popoli e dai settori storicamente esclusi”.
Guatemala ed esclusione
Secondo la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Eclac/Cepal), in Guatemala il 60% della popolazione vive in povertà (quasi 10 milioni) e il 22% in totale miseria (3,6 milioni). Cifre che si alzano nella zona rurale e nelle comunità indigene dove la povertà colpisce l’80% della popolazione (Indagine sulle famiglie 2020). In Guatemala, un bambino su due soffre di denutrizione cronica e il paese è al primo posto in America Latina e al sesto nel mondo per denutrizione cronica infantile (Unicef).
Solo un quinto della popolazione ha accesso all’acqua potabile. Le poche fonti di acqua pulita nelle comunità rurali sono acaparrate da compagnie multinazionali che le usano per progetti energetici ed estrattivi.
Il sistema sanitario è al collasso. Dopo un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, il governo è riuscito a vaccinare solo il 14% della popolazione con una dose e solo il 2% ha completato il programma di vaccinazione.
Intanto si moltiplicano le concessioni rilasciate a società e compagnie nazionali e multinazionali, per l’esplorazione e lo sfruttamento minerario e petrolifero, per progetti energetici e per l’espansione senza controllo delle monocolture su larga scala. Tutte cose che determinano l’espulsione delle comunità, l’acaparramento dei territori e l’aumento della conflittività e della violenza.
La risposta sempre più frequente alla resistenza delle popolazioni e alle denunce di chi difende i diritti umani, la terra e i beni comuni è maggior repressione, criminalizzazione, persecuzione e morte.
A maggior repressione…
Secondo i più recenti rapporti di Front Line Defenders e Global Witness, il Guatemala nel 2019 è stato tra i paesi più pericolosi per chi difende la terra e i beni comuni, e il più pericoloso considerando gli omicidi ‘pro capite’ di chi difende diritti. È anche la nazione con il più alto aumento di omicidi di difensori rispetto all’anno precedente (2018).
Secondo l’Unità per la protezione dei difensori dei diritti umani del Guatemala (Udefegua), tra gennaio e il 15 dicembre 2020, periodo che corrisponde al primo anno di mandato del presidente Alejandro Giammattei, in Guatemala sono stati riportati 1004 attentati, 15 omicidi e 22 tentati omicidi contro difensori dei diritti umani. Questi dati, sottolinea Udefegua, mostrano la mancanza di volontà dello Stato di garantire che, chi difende i diritti umani, possa farlo in condizioni di libertà e sicurezza.
“Chi attualmente è a capo della procura non risponde né alla giustizia, né al popolo, bensí a quel gruppo di corrotti che da sempre controlla i poteri dello Stato. C’è poi un altro elemento da considerare. Contrariamente al discorso ufficiale e ai tanti proclami contro la corruzione, gli Stati Uniti non vedono di buon occhio che si promuovano cambiamenti strutturali in paesi come il Guatemala”, segnala Vay García.
Per la dirigente indigena, gli Stati Uniti fingono di sostenere la lotta contro la corruzione e usano i media per far credere che, con un paio di incarcerazioni eccellenti, tutto sia risolto.
“Peccato che poi girino la testa dall’altra parte quando gli atti di corruzione sono commessi da quelle élites che controllano il potere reale nel paese e garantiscono lo status quo e i loro interessi strategici. Non possiamo più cadere in questa trappola. Dobbiamo organizzarci e articolarci. La lotta che dobbiamo combattere e la sfida che ci attende è quella per un cambiamento del sistema e della struttura del potere”.
Per anni, Codeca e altre organizzazioni impegnate nella lotta di resistenza hanno subito gli attacchi sistematici delle autorità. Venti attivisti e dirigenti di Codeca sono stati assassinati negli ultimi due anni. L’anno scorso, in piena emergenza sanitaria e con il coprifuoco in tutto il paese, le multinazionali estrattiviste hanno continuato a lavorare come se nulla fosse. Così ha fatto anche l’apparato repressivo che ha continuato ad attaccare, reprimere e uccidere chi difende i diritti delle persone e dell’ambiente. Nel 2020, Codeca ha registrato circa 166 casi di repressione contro almeno 662 membri a livello nazionale.
“Le organizzazioni sono sotto costante attacco. La procura riceve sempre più fondi, ma si dedica essenzialmente a perseguitare e criminalizzare chi protesta e difende diritti. L’esercito e la polizia si dedicano esclusivamente a difendere gli interessi delle multinazionali e ad attaccare chi si oppone a essi”, continua Vay.
200 anni di cosa?
Tra pochi giorni l’America Centrale celebra i 200 anni della sua indipendenza. I popoli indigeni (e non solo loro) assicurano che non c’è proprio nulla da festeggiare.
“Per noi sono 200 anni di saccheggi, repressione, razzismo, esclusione, sfruttamento, povertà e morte. Continuano a impadronirsi delle terre, a saccheggiare i beni comuni, a sfruttare lavoratori e lavoratrici, a impoverire le comunità. Tutto in nome dello sviluppo.
Quando ci organizziamo per difendere i nostri territori e i nostri diritti si scatena la repressione e veniamo imprigionati o assassinati. La nostra scommessa – conclude – è rafforzare l’unità e l’articolazione delle forze intorno alla lotta per cambiamenti strutturali e uno stato plurinazionale. Che i corrotti se ne vadano e che si cambi il sistema”.
Nota
Recentemente Leiria Vay García ha dovuto abbandonare il Guatemala ed è stata accolta dal Programma basco di protezione temporanea per difensori e difensore dei diritti umani.
(fine prima parte)
Fonte: LINyM (spagnolo)