19.05.2021 – Giorgio Trucchi
Il 6 aprile scorso è iniziato in Honduras il processo contro Roberto David Castillo, accusato di essere coautore dell’omicidio della dirigente indigena Berta Cáceres. Nonostante la strategia dilatoria adottata sistematicamente dalla difesa, la richiesta di ricusazione dei giudici, i mille inghippi per ritardare il processo e per far apparire l’imputato come vittima di una colossale montatura, la famiglia di Berta Cáceres, il Copinh[1] e i loro avvocati sono certi che, alla fine, sarà fatta giustizia.
Durante la fase di dibattimento, il pubblico ministero ha presentato innumerevoli prove a carico dell’imputato. Verrà poi il turno della difesa e dell’accusa privata.
“Se c’è una cosa che risulta evidente in queste prime settimane del processo è che tutto conduce a David Castillo, a Desa[2] e a una serie di funzionari pubblici e di istituzioni finanziarie internazionali[3]. Tutti sono responsabili della violenza che hanno subito Berta, il Copinh e il popolo Lenca, in un ambiente di corruzione e d’impunità dilaganti”, racconta Víctor Fernández, direttore del pool di avvocati della “Causa Berta Cáceres”[4].
Dopo la condanna nel 2019 degli autori materiali del crimine a pene comprese tra i 30 e i 50 anni di carcere – tra di loro vi sono ex dirigenti e membri della sicurezza di Desa, ex militari e militari in servizio – il processo contro Castillo è la chiave per portare davanti alla giustizia chi ha armato la mano degli assassini.
Castillo: un intermediario del crimine
Fin dall’inizio del processo, la difesa ha cercato di dimostrare che il rapporto tra Castillo e Berta Cáceres era cordiale, quasi di amicizia. In questo modo vogliono convincere i giudici dell’assenza di un collegamento tra l’ex presidente di Desa ed ex ufficiale dell’intelligence militare honduregna e l’omicidio.
“Crediamo si tratti di una strategia adottata dalla struttura criminale che ha ordinato ed eseguito l’omicidio. Castillo si è mantenuto in contatto con la sua vittima per garantire il risultato finale, cioè la sua morte”, spiega Fernández.
L’avvocato ha ribadito che il movente dell’omicidio è da ricercare nella lotta di Berta Cáceres, del Copinh e di varie comunità Lenca contro il progetto Agua Zarca. Pertanto puntano il dito sui vertici di Desa e su altri attori istituzionali collusi con la ricca e potente famiglia Atala.
“David Castillo è un intermediario del crimine, che ha fatto da collegamento tra i mandanti dell’attacco a Berta e il gruppo di sicari. Stiamo insistendo affinché Castillo sia riconosciuto como coautore del crimine. Solo così potremo garantire una futura azione penale nei confronti dei veri autori intellettuali che, purtroppo, continuano a godere di assoluta impunità”.
Si è trattato di femminicidio
L’accusa privata ha anche introdotto un mezzo di prova che sviluppa l’ipotesi che Berta Cáceres sia stata vittima di femminicidio, in un contesto di denuncia e lotta contro un modello patriarcale, neoliberale, colonialista e razzista che esercita violenza sui corpi e sulle vite delle donne che difendono territori e beni comuni.
“Riteniamo si tratti di ‘femminicidio territoriale’ – ha spiegato Fernández – cioè di un attacco mortale a una donna protagonista della difesa del territorio, della natura, del suo corpo.
Rendere giustizia a Berta significa stabilire un precedente e gettare luce su tutti quei crimini commessi in nome di un modello economico estrattivista, che ha fatto della persecuzione, la criminalizzazione e l’omicidio la norma”.
Gli avvocati della ‘Causa Berta Cáceres’ si dicono fiduciosi di ottenere giustizia integrale per Berta e questo implica verità, riparazione e non ripetizione dei crimini fin qui commessi.
“Mentre si svolge il processo contro Castillo, ci sono gruppi di specialisti ed esperti impegnati a trovare, verificare e sistematizzare prove che possano inchiodare i mandanti del femminicidio di Berta alle loro responsabilità. Oltre ai vertici di Desa ci sono funzionari pubblici, banche, istituti finanziari internazionali che hanno continuato a sostenere il progetto Agua Zarca, nonostante sapessero ciò che stava accadendo. Ora dovranno affrontarne le conseguenze”, spiega Fernández.
“Andremo fino in fondo, affinché i carnefici, non solo di Berta ma di tutte quelle persone che sono state criminalizzate, perseguitate e uccise per difendere i territori e i beni comuni, comprendano che anche i popoli sanno fare giustizia”.
[1] Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras, di cui Berta Cáceres era coordinatrice nazionale al momento di essere assassinata la notte del 2 marzo 2016[2] Desarrollos Energéticos SA, società titolare della concessione per lo sfruttamento delle acque del fiume Gualcarque e promotrice del progetto idroelettrico Agua Zarca, contro il quale si sono battuti Berta Cáceres e il Copinh
[3] https://www.peacelink.it/latina/a/48407.html
[4] https://berta.copinh.org/