Honduras
Giustizia insapore
Intervista a Bertha Zúniga dopo la sentenza sull’omicidio di Berta Cáceres
Tegucigalpa, 3 dicembre (Rel-UITA | LINyM) -.
Sette degli otto imputati per l’omicidio di Berta Cáceres e per il tentato omicidio dell’ambientalista messicano Gustavo Castro, unico testimone del delitto, sono stati condannati lo scorso 29 novembre. Sia la famiglia che il Copinh, organizzazione della quale la Cáceres era coordinatrice, sostengono che la sentenza non soddisfa la loro esigenza di giustizia.
Dopo la presentazione di motivi, la prima sezione penale del Tribunale di Tegucigalpa ha riconosciuto Sergio Rodríguez, Douglas Bustillo, Mariano Díaz, Elvin Rápalo, Oscar Torres, Edison Duarte ed Henry Hernandez colpevoli dell’omicidio della dirigente indigena.
Rápalo, Torres, Duarte ed Hernández, autori materiali del crimine, sono anche stati condannati per il tentato omicidio di Castro. Emerson Duarte è stato invece assolto da tutte le imputazioni e liberato.
Ai sette è stata confermata la carcerazione preventiva, in attesa che il 10 gennaio i giudici comunichino l’entità delle condanne.
Cala così il siparo sul primo grado del processo per l’omicidio di Berta Cáceres, un processo costellato da irregolarità e illegalità, come la mancanza di accesso delle parti alle informazioni del caso, distruzione e alterazione delle prove, superficialità nelle indagini, mancanza di volontà da parte del Pubblico ministero di indagare sui mandanti dell’omicidio e addirittura la recente esclusione dei legali delle vittime dal caso.
La corte si è anche rifiutata di considerare i membri del Copinh come vittime all’interno del processo e non ha voluto chiamare a testimoniare i maggiori azionisti dell’azienda Desarrollos Energéticos SA (DESA), proprietaria del progetto idroelettrico Agua Zarca -contro cui si battevano la Cáceres e il Copinh-, tutti appartenenti alla facoltosa e potente famiglia Atala Zablah.
Sentenza agrodolce
Bertha Zúniga Cáceres, attuale coordinatrice del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) e figlia della dirigente sociale assassinata nella notte del 2 marzo 2016, ha parlato della sentenza con la LINyM.
– Siete soddisfatti della sentenza?
– Fin dal giorno dell’omicidio era chiaro che lo Stato non aveva nessuna intenzione di approfondire le indagini, nè di cercare i mandanti del crimine, quelli che in pratica hanno ordinato e finanziato la morte di mia madre.
La sentenza condanna gli esecutori materiali dell’omicidio e alcuni membri della struttura intermedia che ha organizzato l’attacco. Si è anche evidenziato come questi ultimi avessero un legame diretto con DESA. Purtroppo i mandanti sono ancora liberi e godono d’impunità.
È abbastanza evidente che lo Stato spera così di calmare le acque e mettere a tacere le tante voci, a livello nazionale e internazionale, che esigono giustizia.
Quello che noi stiamo dicendo è che ci sono ancora tante persone coinvolte sia nell’omicidio che negli attacchi che Berta e il Copinh hanno subito per anni.
– Il tribunale ha dovuto ammettere che esiste una relazione diretta tra DESA e le persone condannate, e che l’omicidio è legato alla lotta contro il progetto Agua Zarca.
– Hanno sempre cercato di negarlo per allontanare l’idea che l’omicidio potesse essere, in qualche modo, connesso con la protesta portata avanti da Berta e dal Copinh.
Una delle grandi vittorie di oggi (29 novembre) è che si sta riconoscendo che l’omicidio di mia madre è collegato alla lotta di resistenza contro il progetto idroelettrico e che DESA è coinvolta nella persecuzione, le minacce e negli attacchi che hanno portato all’omicidio di Berta Cáceres.
– Quali saranno i prossimi passi dopo questa prima sentenza?
– Adesso viene la parte più difficile, più impegnativa, cioè inchiodare i mandanti del crimine. La famiglia Atala Zablah non può più rimanere fuori dal processo. Non dopo questa sentenza che dice che i vertici di DESA erano consapevoli e consenzienti all’omicidio.
In marzo dovrebbe poi iniziare il processo contro l’ex direttore di DESA, Roberto David Castillo, uno dei membri della struttura intermedia che ha organizzato l’attacco mortale.
– Qual è il futuro del progetto Agua Zarca?
– Dopo questa sentenza credo che non ci sia più nessun motivo per continuare a rinviare la chiusura totale e definitiva del progetto. Dovremo intensificare la lotta per raggiungere questo obiettivo. Lo Stato deve sbrigarsi perché sta continuando a proteggere un progetto illegale e illegittimo che viola i diritti del popolo Lenca.
Solidarietà
– Che ruolo ha avuto la solidarietà in questi 33 mesi?
– La solidarietà è stata fondamentale. Siamo profondamente grate a tutte quelle persone e organizzazioni che, instancabilmente, ci hanno accompagnate e sostenute in questa difficile lotta.
Quello di oggi è il risultato di questa solidarietà, di questo sforzo collettivo contro un modello neoliberale estrattivista che saccheggia i beni comuni e impoverisce i popoli. Di questa stessa solidarietà avremo bisogno ora per continuare la lotta, per assicurare i mandanti dell’omicidio alla giustizia, per smantellare la struttura criminale che continua a reprimere.
Ne abbiamo bisogno per creare un precedente di giustizia in un paese in cui continua a prevalere l’impunità. Solo uniti con chi, come noi, crede nella vita, l’etica e nella dignità potremo farcela.
– E per finire. Come stai tu e come sta il resto della famiglia di Berta?
– Ci sentiamo sollevate dopo tanta pressione. Ma sappiamo che è solo l’inizio. Come abbiamo sempre detto, facciamo nostro il lascito di nostra madre. Nessuno potrà fermarci.
Di Giorgio Trucchi | Rel-UITA/LINyM
Fonte: Rel-UITA