Luca Martinelli, Il Manifesto (Foto: Orsetta Bellani)
Sono passati già due anni dalla notte in cui Berta Caceres, leader indigena hondureña, venne uccisa a colpi di pistola da alcuni sicari entrati nella sua casa di La Esperanza, nel dipartimento di Intibucá. Era la notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016, e la fondatrice del Copinh (Consejo Civico de Organizacion Indigenas y Populares de Honduras) avrebbe compiuto 45 anni da lì a due giorni.
Dai primi anni Novanta guidava gli indigeni di etnia lenca nelle lotte per il riconoscimento dei loro diritti, e meno di un anno prima a San Francisco aveva ricevuto il Goldman Prize, un riconoscimento che ogni anno viene assegnato agli attivisti più in vista di ogni continente, considerato il Nobel alternativo per l’ambiente. Né il premio né la visibilità ottenuta hanno contribuito a salvarla. Due anni dopo, però, sappiamo con certezza soltanto che ad ucciderla sono stati sicari legati al governo del Paese e a «Desa», l’impresa privata titolare di una concessione idroelettrica per costruire una diga in territorio lenca, sul rio Gualquarque, un fiume sacro.
«Grazie anche alla forte pressione internazionale che è seguita all’omicidio, sono state catturate 8 persone. Sarebbero i soggetti direttamente implicati come autori materiali dell’omicidio, e a metà 2018 dovrebbe essere emessa nei loro confronti una sentenza, presumibilmente di condanna. Questo, però, non ci basta» spiega al manifesto Bertha Zuniga Caceres, 27 anni. È la figlia di Berta, e d’accordo con l’assemblea generale del Copinh ha preso il suo posto, giovanissima, alla guida dell’organizzazione.
«Esigiamo dalla magistratura un’inchiesta completa, che vada a colpire coloro che hanno pianificato l’omicidio della compañera Berta Caceres. Dopo la presentazione del rapporto del Comitato consultivo internazionale di persone esperte (Gaipe), nel novembre del 2017, sono stati catturati due poliziotti, responsabili di aver falsificato le prove. Il lavoro di questa équipe di giuristi oggi ci permette di collocare quanto è accaduto all’interno di una questione strutturale di criminalità, che non riguarda solo l’impresa Desa ma vede anche una forte partecipazione dello Stato».
È per questo, sottolinea Zuniga, che «lo Stato vorrebbe chiudere il caso con la condanna degli otto, e siamo pronti a portare il caso anche di fronte ad istanze internazionali, perché sappiamo che in questo Paese la giustizia non funziona. Considero quindi un parziale successo essere arrivati a definire che soggetti vincolati a Desa e all’esercito hondureño siano implicati nell’omicidio».
Quella notte venne ferito l’ambientalista messicano Gustavo Castro Soto, direttore di Otros Mundos Chiapas, amico di Berta dai primi anni Duemila, che era ospite nella sua casa a La Esperanza, invitato a un forum sulle energie alternative: è l’unico testimone oculare dei fatti.
Dopo l’omicidio di tua madre, il progetto idroelettrico di Agua Zarca è stato cancellato?
La concessione è ancora attiva. E questo anche se quell’investimento è direttamente vincolato a più crimini, non solo il suo omicidio. E nonostante si tratti di un progetto imposto, che non rispetta la Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sul diritto alla consultazione delle comunità indigene. Così, anche se le due banche europee coinvolte hanno rinunciato a finanziare Agua Zarca, la concessione è in vigore, e lo sarà per 50 anni dal momento in cui è stata assegnata. Il primo marzo dello scorso anno il Copinh ha promosso un ricorso di incostituzionalità, che è stato rigettato. Dovremmo nelle prossime settimane presentare una nuova istanza, contro questa decisione. Nel frattempo, vediamo che si stanno finanziando e rafforzando le comunità che si dicono favorevoli alla diga, in opposizione a quella di Río Blanco, che sostiene il Copinh. E questo nonostante ci siano le prove, anche le chat WhatsApp, di una diretta implicazione del consiglio d’amministrazione di Desa nella pianificazione dell’omicidio di Berta Caceres. Sono atti che i pubblici ministeri hanno a disposizione dal maggio del 2016, e noi solo dal luglio dell’anno successivo. Ma che non si vogliono utilizzare.
Nel frattempo il Paese è tornato al voto per la terza volte dopo il golpe del 2009. È stato indicato come presidente Juan Orlando Hernandez (JOH), al secondo mandato.
Dopo le elezioni del 26 novembre la repressione è stata ancora più forte. Quello che non si vuole comprendere, è che oggi gli hondureñi, e non un singolo partito d’opposizione, ripudia tutte le politiche di Joh, considerato apertamente un nemico del popolo. Egli è infatti il simbolo di una politica estrattiva, è identificato come colui che promuove il saccheggio delle risorse del Paese. La risposta è un forte processo di resistenza, fatto di sollevazioni popolari e territoriali, diffuse, di cui Berta Caceres era stata “stratega” a partire dalle mobilitazioni contro il colpo di Stato del 2009. Nei prossimi mesi ed anni ci sarà molta instabilità, e il governo potrà sostenersi solo con la repressione.
È in questo contesto che matura, nel febbraio del 2018, la rinunca dei tre membri della Misión de Apoyo Contra la Corrupción y la Impunidad de Honduras, un’iniziativa dell’Osa.
Un atto che dimostra che il livello di impunità in Honduras è così alto che l’azione della Commissione non ha potuto ottenere nessun risultato. In Guatemala nell’ambito di un’iniziativa simile è stato possibile catturare anche ex presidenti della Repubblica, mentre nel nostro Paese la sola ipotesi di mettere sotto indagine alcuni deputati ha provocato una reazione di chiusura da parte delle istituzioni. Questa rinuncia, da parte dei 3 commissari, è il simbolo evidente di una frustrazione, ed evidenzia a nostro avviso anche la complicità dell’Organizzazione degli stati americani, che non ha agevolato l’azione dalla Missione contro la corruzione e l’impunità. Gli investigatori avrebbero dovuto affrontare anche casi molto difficili, tra i quali c’è anche quello di Agua Zarca, direttamente vincolato quindi all’omicidio di Berta Caceres.
Articolo pubblicato dal Manifesto il 1.03.2018: https://ilmanifesto.it/dellomicidio-di-berta-vogliamo-i-mandanti/