Il 22 dicembre l’anniversario dell’eccidio che nel 1997 costò la vita a 45 persone, tutte appartenenti al gruppo pacifista “Las Abejas”
Sono passati vent’anni dall’evento che ha cambiato la mia vita. Il 22 dicembre del 1997 ad Acteal, sulle montagne del Chiapas, nella regione conosciuta come Los Altos, un gruppo paramilitare uccise i fedeli riuniti in preghiera nella chiesetta. Erano tutti indigeni di etnia Tzotzil, affiliati ad un gruppo pacifista. Si chiamava, e si chiama, Las Abejas.
Che in italiano significa “le api”.
Non seppi nulla di Acteal fino all’anno dopo, quando ebbi l’opportunità di ascoltare la testimonianza di fray Pablo Romo, che allora era il direttore del Centro diritti umani “Fray Bartolomé de Las Casas” a San Cristobal de Las Casas.
Ci spiegò che quell’evento, che tutto il mondo conosce come “il massacro di Acteal”, era parte di una guerra di bassa intensità combattuta dall’esercito messicano e da truppe irregolari nello Stato più meridionale del Paese a partire dal gennaio 1994, dopo insurrezione armata dell’EZLN (Ejercito Zapatista di Liberación Nacional), un esercito indigeno.
Ad Acteal morirono in 45, più quattro vite che erano ancora nell’utero delle loro madri.
(Nella foto in alto, dall’archivio del quotidiano La Jornada, i loro funerali, celebrati da don Samuel Ruiz, il vescovo di San Cristobal, fondatore del centro diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas.)
Allora, avevamo 18 anni, ci colpì la storia tremenda di alcuni bambini, di Zenaida che perse la vista e degli altri trucidati dalle raffiche sparate dall’esterno verso l’interno della chiesetta, che resta “ferita” ed è un monito intorno al quale ogni anno si ritrovano migliaia di persone, che arrivano dagli Altos, da San Cristobal e da tutti il mondo per una veglia di preghiera che si ripete ogni 22 dicembre (l’ho vista con i miei occhi, nel 2003, quando ebbi l’opportunità anch’io di partecipare alla celebrazione).
Vent’anni dopo, Acteal è ancora una ferita aperta, cui se ne sono aggiunte molte in tutto il Messico (come quella di San Salvador Atenco, che racconto qui) e anche in Chiapas (e dei giorni scorsi la denuncia di un conflitto tra le comunità di Chenalhó e Chalchihuitán, con circa 5mila nuovi desplazados).
Intorno a metà novembre, intanto, Las Abejas ed alcuni dei sopravvissuti alla strage di Acteal hanno potuto incontrare a San Cristobal de Las Casas Victoria Tauli Corpus, relatrice speciale ONU per i diritti dei popoli indigeni.
Le hanno consegnato una lettera:
Mi chiamo Guadalupe Vásquez Luna, ho 30 anni, e il 22 dicembre del 1997 ho perso per sempre mio padre, mia madre ed altri 7 membri della mia famiglia, quel giorno in cui i paramilitari affiliati al Partito Rivoluzionario Istituzionale attaccarono la mia comunità […]. Il massacro di Acteal è un messaggio che lo Stato messicano volle dare alla comunità indigene e ai movimenti sociali che lottano contro un sistema di governo repressore, che disprezza e non rispetta i popoli indigeni come soggetti della propria storia e titolari di diritti in un Paese dove concetti come democrazia, libertà e sovranità sono solo parole.
Lo Stato messicano, invece, di avanzare nella ricerca di giustizia per il Massacro di Acteal e far conoscere la verità su quanto occorso, 10 anni dopo l’infame delitto, con un giudizio di quella che a torto è definita Suprema Corte de Justicia de la Nación, liberò tutti i paramilitari che erano stati riconosciuti come autori materiali del massacro, e la cui identità era stata segnalata dai sopravviventi. Mentre aspettiamo che sia la Corte interamericana per i diritti umani ad esprimersi sul caso Acteal, l’impunità è ancora vigente, ed è un cancro che ci consuma. Anche se sono passati 20 anni da quando abbiamo perso i nostri genitori, le nostre sorelle, i nostri fratelli, soffriamo ancora, anche psicologicamente, perché i paramilitari sono libri e camminano per le nostre comunità […]. Abbiamo denunciato più volte che qui in Messico si condannano gli innocenti, mentre vengono premiati gli assassini.
L’incontro con Tauli Corpus è parte dalla campagna “Acteal: Raíz, Memoria y Esperanza”, che Las Abejas e il Centro “Frayba” hanno promosso a partire dal marzo del 2017, e che culminerà nel giorno dell’anniversario. La speranza è che ci sia ancora spazio per ottenere giustizia.
Nel rapporto preliminare presentato al termine della propria missione nel Paese, purtroppo, Tauli Corpus ha dovuto riconoscere che il sentiero è difficile:
Mi sono stati presentati numerosi casi di gravi violazioni dei diritti umani dei popoli indigeni in diversi Stati del Paese. Molti sono ancora irrisolti. Questi casi riguardano anche massacri, omicidi, sparizioni forzate, violenze sessuali, torture. I crimini sono attribuiti a privati, ma anche al crimine organizzato, ai gruppi paramiliari, a ufficiali o militari, in molti casi in relazione a ‘progetti di sviluppo’ che intereranno i territori indigeni. Ho potuto percepire, inoltre, la mancana di fiducia che i popoli indigeni hanno nei confronti del sistema ordinario di giustizia, vincolato alla mancata applicazione delle sentenze quando queste sono loro favorevoli ed al fatto che una condanna non garantisce che i fatti non si ripetano.
La missione di Tauli Corpuz in Messico, che si è conclusa con una conferenza stampa il 17 novembre, segue quella del precedente Relatore Onu per i diritti dei popoli indigeni, Rodolfo Stavenhagen, che era stato nel Paese nel 2003. Lasciando un elenco di raccomandazione, che sono rimaste lettera morta per il governo messicano. “Una brecha de implementación” scrive Tauli Corpus.
Significa che il Messico ha perso almeno quindici anni.